June 25

Ipocrisia Selettiva e Bomba Democratica: Anatomia di un Occidente Armato di Doppia Morale

Chi stabilisce cosa sia un’invasione? Le bombe contano solo quando esplodono dall’altra parte? Se una nazione attraversa un confine con i carri armati è un’invasione, ma se un’altra nazione attraversa le nuvole con i droni, allora è un’operazione chirurgica, un atto di difesa preventiva, una favola ben confezionata per i salotti buoni dell’ipocrisia globale. I responsabili cambiano bandiera, ma il principio resta lo stesso: una guerra è una guerra, e la semantica non può fare da copertura alla complicità.

Per anni l’Occidente ha urlato contro l’Est, accusando un’invasione brutale e illegittima, esibendo il dolore di un popolo aggredito e la retorica dei valori violati. Ma quando i missili partono dalle basi alleate, quando l’obiettivo è un’altra nazione che sta lontana dal loro orizzonte culturale e strategico, allora ecco che le urla diventano silenzi e i diritti si dissolvono nell’aria rarefatta delle riunioni diplomatiche.

L’invasione ha diritto d’asilo se parte da chi scrive le regole. E se il bersaglio si chiama Iran, la giustificazione è sempre pronta: si chiama minaccia nucleare. Peccato che le bombe atomiche le abbiano già quelli che accusano, e che l’unica regola rimasta sia quella del più forte che detta le regole agli altri.

Così, chi non deve avere armi è chi non è gradito, chi non è allineato, chi non è integrato nel grande organigramma dell’egemonia globale. I Paesi armati fino ai denti parlano di disarmo, i governi che finanziano guerre parlano di pace, quelli che vendono missili parlano di dialogo. È come vedere un piromane presiedere un convegno sui sistemi antincendio.

Nel frattempo, il giudizio morale si applica a geometria variabile. Se da una parte un’aggressione viene punita con una pioggia di sanzioni e anatemi, dall’altra parte si alzano le spalle e si cambia canale. Anche di fronte a bombardamenti a tappeto, a devastazioni documentate, a conteggi tragici di morti civili, tra cui migliaia e migliaia di bambini, l’Europa diplomaticamente preferisce non vedere.

Chi osa sanzionare l’alleato storico, anche quando le cifre parlano più delle parole? Nessuno, perché sanzionare significherebbe riconoscere che non c’è un solo asse del male, ma tanti assi che si incrociano nel silenzio. Si sanziona per geopolitica, non per giustizia. Si reagisce per calcolo, non per coscienza.

L’Occidente non è più un territorio, è diventato un sistema di specchi e menzogne. Dove il potere diplomatico serve a costruire narrazioni, e le narrazioni servono a coprire le proprie contraddizioni. In un mondo in cui chi bombarda può essere chiamato “pacificatore” e chi resiste può essere dipinto come “terrorista”, la verità diventa solo una variante utile al racconto dominante.

Ciò che resta è una gigantesca scenografia in cui le istituzioni sembrano recitare un copione vecchio, fatto di promesse mai mantenute, di valori sbandierati solo quando conviene, di vite umane classificate in base alla loro utilità strategica. Il cinismo ha vinto, ma si maschera da equilibrio. La violenza ha vinto, ma si traveste da diplomazia.

E mentre si redigono documenti di condanna da una parte, dall’altra si firmano forniture militari, si fanno brindisi nei saloni del potere, si chiudono gli occhi davanti alle fosse comuni. Il termine “genocidio” è tabù se riferito all’amico, diventa parola d’ordine solo se il nemico lo commette.

C'è chi pensa che Orwell fosse pessimista. Ma il suo “1984” oggi sembra un reality show in differita. La verità manipolata, il nemico invisibile, l’amore per il Grande Fratello: tutto è lì, nella nostra indifferenza, nella nostra accettazione passiva.

La democrazia si difende meglio se non la si tradisce. Ma l’Occidente, invece di interrogarsi sulle proprie complicità, preferisce recitare la parte del giudice. Ha trasformato la guerra in un atto selettivo, l’indignazione in una variabile geopolitica, il diritto internazionale in un’arma a doppio taglio.

E così l’Impero del Bene si scopre ogni giorno più simile ai regimi che dice di combattere. Solo con più tecnologia, più retorica, e una macchina propagandistica che spaccia civiltà a colpi di esplosioni telecomandate.