LUCA TAMBE

La Silenziosa Morte del Dialogo nell'Europa dei Censori

La censura europea colpisce sistematicamente chi osa dialogare con voci alternative al pensiero dominante. Nelle istituzioni comunitarie si respira un'aria pesante di controllo ideologico, dove confrontarsi con posizioni diverse è considerato un tradimento dei valori progressisti. Non è solo questione di regolamenti: parliamo di una mentalità diffusa che criminalizza il pluralismo delle idee.

I social network, che dovrebbero essere luoghi di confronto aperto, si sono trasformati in camere dell'eco dove regna la censura mascherata da "protezione degli utenti". Guardate cosa succede in Italia: una piattaforma del fediverso, mentre si riempie la bocca di parole come "partecipazione" e "libertà", blocca sistematicamente chi esprime opinioni fuori dal coro. I moderatori decidono cosa è accettabile e cosa no, sostituendosi alla capacità critica degli utenti.

L'interrogazione presentata da un membro italiano del Parlamento Europeo contro chi dialoga con "l'altra parte" è solo la manifestazione più evidente di un problema radicato. La caccia alle streghe è iniziata: chiunque abbia il coraggio di ascoltare voci diverse viene marchiato come nemico da eliminare dallo spazio pubblico. Nessun dibattito, nessun confronto: solo esclusione.

Ma il fenomeno più preoccupante non è l'azione repressiva delle istituzioni. Il vero pericolo è l'entusiasmo con cui molti italiani applaudono queste pratiche censorie. Cittadini comuni che esultano quando viene zittita una voce scomoda, quando viene chiuso un canale di comunicazione, quando viene impedito il dialogo. Questi "guardiani della verità" sono i primi a invocare la censura, a segnalare opinioni sgradite, a chiedere la cancellazione di contenuti che sfidano le loro convinzioni.

Assistiamo a un paradosso inquietante: in nome della democrazia, si sopprime il dissenso. In nome della tolleranza, si pratica l'intolleranza verso chi pensa diversamente. In nome della libertà, si limita la libertà di espressione. È la tirannia della maggioranza che si autoalimenta, creando un circolo vizioso di conformismo ideologico.

I media mainstream giocano un ruolo cruciale in questo meccanismo perverso. Anziché stimolare il dibattito e presentare visioni diverse, amplificano solo le voci allineate e demonizzano chi osa dissentire. Il giornalismo d'inchiesta è morto, sostituito da una narrazione preconfezionata che non ammette contraddittorio. Chi controlla l'informazione controlla il pensiero, e oggi l'informazione è controllata da pochi potenti che decidono cosa il pubblico debba sapere e pensare.

Le università, un tempo fucine del pensiero critico, si sono trasformate in centri di indottrinamento dove certe idee non possono essere nemmeno discusse. Studenti e professori autocensurano le proprie opinioni per paura di ritorsioni. La cultura della cancellazione ha sostituito il confronto intellettuale, impoverendo il dibattito e creando generazioni incapaci di gestire il dissenso.

Il linguaggio stesso è diventato un campo di battaglia. Parole bandite, termini imposti, espressioni censurate: il controllo del vocabolario è il primo passo verso il controllo del pensiero. Chi non si adegua al nuovo lessico politicamente corretto viene etichettato come retrogrado, ignorante o, peggio ancora, "pericoloso". La neolingua orwelliana non è più fantascienza, ma realtà quotidiana.

L'Europa che si erge a paladina dei diritti umani nel mondo è la stessa che calpesta il diritto fondamentale alla libera espressione dei suoi cittadini. L'ipocrisia è evidente: mentre si condannano regimi autoritari lontani, si adottano le loro stesse pratiche repressive in casa propria. La differenza è solo nella forma, più subdola e soft, ma la sostanza rimane la stessa.

Il risultato finale? Una società divisa, polarizzata, incapace di dialogo. Da una parte chi detiene il potere dell'informazione e impone la narrazione ufficiale; dall'altra, una massa silenziosa che non osa più esprimersi pubblicamente ma coltiva in privato il proprio dissenso. È un terreno fertile per estremismi di ogni genere, perché quando il dialogo viene represso, emergono forme di espressione più radicali e potenzialmente violente.

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