Le strutture professionali sono piene di titolari miopi, incapaci di vedere oltre il profitto immediato. Assumono talenti eccezionali, elementi che danno lustro ai loro studi, che soddisfano la clientela con competenza e dedizione, eppure li sottopagano sistematicamente. Una strategia apparentemente vincente nel breve periodo ma catastrofica nella prospettiva più ampia.
Il meccanismo è sempre identico: il professionista valido viene assunto con una retribuzione nettamente inferiore al suo valore di mercato. Il titolare si convince che questa disparità possa passare inosservata, come se il dipendente non avesse consapevolezza delle proprie capacità o non potesse fare due semplici calcoli matematici per comprendere quanto viene sottovalutato. Questa farsa si protrae per mesi, a volte anni, mentre il titolare si crogiola nell'illusione che lo stato di cose possa perpetuarsi indefinitamente.
Mai un riconoscimento spontaneo, mai un adeguamento salariale proattivo, mai un premio per i risultati raggiunti. Il messaggio implicito è chiaro: il tuo valore è marginale, sei sostituibile, devi essere grato per l'opportunità che ti concediamo. Intanto i clienti elogiano il professionista, i colleghi ne riconoscono le capacità, ma chi dovrebbe valorizzarlo economicamente resta sordo a questi segnali.
L'avidità offusca la visione strategica. Il titolare calcola ossessivamente quanto risparmia ogni mese sottopagando il talento, ma non contabilizza mai quanto valore aggiunto quel professionista porta alla struttura. Non considera l'affidabilità, la capacità di risolvere problemi complessi, la soddisfazione generata nei clienti, elementi che hanno un impatto economico reale seppur non immediatamente quantificabile nel foglio Excel delle spese mensili.
Poi arriva il giorno inevitabile. Un'altra struttura, più attenta e lungimirante, riconosce il valore di quel professionista. Offre una retribuzione adeguata, rispetto professionale, prospettive di crescita. Il professionista valuta l'offerta e, prevedibilmente, accetta. A questo punto si assiste a una scena tragicomica: il titolare che per anni ha sfruttato quella risorsa si mostra genuinamente sorpreso, addirittura offeso. Come se fosse stato tradito, come se gli fosse stata sottratta ingiustamente una proprietà.
Lo stupore è la reazione più rivelatrice. Dimostra quanto il titolare fosse disconnesso dalla realtà, quanto vivesse in un universo parallelo dove le persone di valore non hanno consapevolezza del proprio valore e non cercano mai condizioni migliori. Lo stupore svela l'incompetenza manageriale, l'incapacità di comprendere le dinamiche umane più elementari.
A questo punto inizia il balletto delle contromosse tardive. Improvvisamente quel professionista sottopagato diventa indispensabile. Vengono proposte offerte dell'ultima ora, aumenti che fino al giorno prima erano impossibili diventano magicamente disponibili. Ma è troppo tardi: la fiducia è compromessa, il rispetto professionale è venuto meno. Il messaggio è stato recepito chiaramente: "Ti valorizzo solo quando sono costretto a farlo, non perché lo meriti".
L'avidità si rivela così il peggior nemico della stabilità aziendale. Quel risparmio apparente di qualche migliaio di euro all'anno si traduce in costi enormi: tempo per trovare un sostituto, formazione del nuovo arrivato, periodo di adattamento, rischio di perdere clienti affezionati al professionista che se ne va, danni reputazionali interni ed esterni. Senza contare l'impatto sul clima aziendale: gli altri collaboratori assistono e traggono le loro conclusioni.
La miopia gestionale è un virus che si diffonde rapidamente nelle piccole e medie strutture professionali. I titolari, spesso eccellenti tecnici ma pessimi manager, non comprendono che il capitale umano è il vero asset strategico. Trattano i talenti come costi da comprimere invece che come investimenti da valorizzare. Non capiscono che la stabilità di uno studio professionale si costruisce sulla stabilità del team, sulla continuità del servizio, sulla coesione interna.
I professionisti di valore non cercano solo compensi adeguati, cercano riconoscimento, rispetto, possibilità di crescita. Quando questi elementi mancano, nessuno stipendio può trattenere veramente una persona di qualità. Il denaro è importante, certamente, ma diventa il fattore decisivo solo quando gli altri aspetti sono trascurati. Un professionista adeguatamente pagato e rispettato raramente si mette sul mercato; un professionista sottopagato e dato per scontato è invece costantemente alla ricerca di alternative, anche quando non lo dichiara apertamente.
La vera stabilità aziendale si costruisce creando un ambiente dove i talenti vogliono restare, non dove sono costretti a farlo dalla mancanza di alternative. Si ottiene costruendo relazioni professionali basate sulla fiducia reciproca, sulla trasparenza, sul riconoscimento del valore. Richiede investimenti continui nelle persone, non solo in termini economici ma anche di opportunità, formazione, coinvolgimento.
L'avidità è una strategia perdente nel lungo periodo. I titolari che la praticano si ritrovano ciclicamente nella stessa situazione: perdono i migliori elementi, attirano profili mediocri attratti solo dal posto fisso, creano un ambiente tossico dove la lealtà aziendale è un concetto vuoto. Si condannano a un ricambio continuo, a un'instabilità strutturale che ha costi enormi, ben superiori a quanto avrebbero speso per trattenere i talenti con politiche retributive adeguate.