Ogni marciapiede urbano si trasforma in campo minato quando certi proprietari di cani decidono di concedere libertà illimitate ai propri animali. L'episodio del Maremmano che assalta un Jack Russell non rappresenta un caso isolato, ma l'emblema di un'epidemia comportamentale che affligge i percorsi pedonali della nostra società.
L'irresponsabilità travestita da benevolenza animalista crea situazioni potenzialmente pericolose. La scusa dell'"affetto canino" diventa il cavallo di Troia per giustificare comportamenti invasivi e minacciosi. Come se un'aggressione potesse trasformarsi magicamente in dimostrazione d'affetto solo perché la proprietaria decide di definirla tale. La realtà fisica dell'equilibrio compromesso, del rischio caduta, dell'incolumità minacciata viene liquidata come incomprensione da parte della vittima.
Il guinzaglio non rappresenta una limitazione crudele della libertà canina, ma uno strumento essenziale di coesistenza civile. La sua gestione non è opzionale né interpretativa – è un imperativo categorico per chi decide di condividere spazi pubblici. Chi non comprende questo concetto elementare trasforma le passeggiate altrui in percorsi ad ostacoli involontari e non concordati.
La questione si radica in un'inversione perversa delle responsabilità. Il sottotesto del rimprovero "tu non lo sai" implica un'aspettativa assurda: tutti dovrebbero conoscere preventivamente le peculiarità comportamentali di ogni singolo cane incrociato casualmente. Questa pretesa ribalta completamente il principio di responsabilità individuale, scaricando sul passante ignaro l'onere di adattarsi all'imprevedibilità dell'animale altrui.
L'industria degli accessori per animali domestici propone guinzagli retrattili, imbracature, museruole e pettorine progettate specificamente per garantire controllo senza disagio. Strumenti ignorati da chi preferisce delegare all'improvvisazione la gestione delle interazioni sociali del proprio animale. La tecnologia esiste precisamente per compensare i problemi comportamentali, ma diventa inutile quando l'atteggiamento di fondo rimane ancorato all'irresponsabilità.
La disparità dimensionale tra razze aggrava ulteriormente il problema. Un Maremmano, con la sua mole imponente e forza considerevole, rappresenta una minaccia oggettiva per cani di piccola taglia. Non si tratta di discriminazione canina, ma di semplice fisica applicata. La massa muscolare e l'energia cinetica sviluppata da un cane di grande taglia in movimento rendono potenzialmente letale anche un approccio giocoso verso un cane miniatura.
L'arroganza di chi pretende di riscrivere le leggi della fisica attraverso giustificazioni sentimentali raggiunge vette paradossali quando si manifesta nella formula "il mio cane è affettuoso". Come se l'intenzione benevola neutralizzasse automaticamente le conseguenze concrete di un comportamento inappropriato. Un cane di 40 kg che salta addosso a un estraneo non diventa meno pericoloso solo perché mosso da entusiasmo anziché aggressività.
La cultura della deresponsabilizzazione si estende oltre l'episodio singolo, contaminando l'intero ecosistema delle relazioni uomo-animale nello spazio pubblico. Parcheggiano i propri cani in zone inadatte, consentono loro di marcare territori inappropriati, ignorano sistematicamente l'impatto che i comportamenti dei loro animali hanno su altri esseri viventi. Il tutto ammantato da un'incredibile autoassoluzione preventiva che trova nella frase "fa così con tutti" la sua massima espressione.
L'educazione cinofila non rappresenta un vezzo elitario ma una necessità sociale. Corsi base di comportamento canino dovrebbero essere prerequisito obbligatorio per chiunque decida di adottare razze di media e grande taglia. Non si tratta di imporre limitazioni alla libertà di possedere animali, ma di garantire che tale libertà non si trasformi in limitazione della libertà altrui.
Il concetto di spazio pubblico condiviso sembra sfuggire completamente a questi proprietari che considerano strade e parchi come estensioni del proprio giardino privato. La convivenza civile richiede compromessi e attenzioni, non proclami unilaterali di innocenza preventiva. "È affettuoso" non può diventare il lasciapassare universale per comportamenti che mettono a rischio l'incolumità di altri animali o persone.
La proposta provocatoria dei "cani da taschino" colpisce precisamente il cuore del problema: non è la dimensione dell'animale a determinare il disturbo, ma l'inadeguatezza del controllo esercitato su di esso. Un Dobermann perfettamente addestrato risulta meno problematico di un Chihuahua indisciplinato, ma entrambi richiedono un proprietario consapevole delle proprie responsabilità.
La questione non riguarda solo la sicurezza fisica immediata, ma include una dimensione psicologica spesso trascurata. L'ansia provocata da incontri canini indesiderati può trasformare una semplice passeggiata in un'esperienza stressante, limitando di fatto la libertà di movimento nello spazio pubblico. Bambini, anziani o semplicemente persone con esperienze traumatiche pregresse possono sviluppare fobie e comportamenti evitanti a causa di questi episodi.
L'assurdo raggiunge l'apice quando la vittima diventa imputata. Il rimprovero implicito contenuto nel "tu non lo sai" rappresenta un capolavoro di distorsione logica: il problema non è chi non controlla il proprio animale, ma chi non possiede la preveggenza necessaria per anticipare comportamenti altrui imprevedibili. Questa inversione accusatoria trasforma ogni passante ignaro in potenziale colpevole di non essersi adeguatamente preparato all'incontro casuale.
Le amministrazioni comunali contribuiscono al problema con regolamenti spesso vaghi o scarsamente applicati. Le sanzioni per guinzagli troppo lunghi o non utilizzati rimangono lettera morta in assenza di controlli sistematici. La responsabilità istituzionale si dissolve nell'indifferenza burocratica, lasciando alla spontanea educazione individuale la gestione di un problema che richiederebbe invece interventi strutturali.
In ultima analisi, il cane non è mai il vero problema. L'animale risponde a istinti naturali e condizionamenti appresi. La responsabilità ricade interamente sul binomio proprietario-istituzioni, con una netta prevalenza del primo elemento. Chi decide di condividere la propria vita con un essere vivente dotato di autonomia comportamentale accetta implicitamente l'onere di gestirne adeguatamente le interazioni sociali.
La prossima volta che un proprietario giustificherà l'assalto del proprio cane con la scusa dell'affettuosità, sarebbe opportuno ricordargli che anche le conseguenze legali di eventuali danni sono particolarmente "affettuose" nei confronti del portafoglio. La responsabilità civile per danni causati da animali non conosce le sfumature sentimentali che certi proprietari attribuiscono ai comportamenti dei loro protetti.