June 30

Il Lusso di dire Basta in un Mondo che Ti Vuole Zitto

L’ultima giornata si consuma tra maschere consunte e rituali di plastica. Saluti forzati, pacche sulle spalle dal retrogusto acido, strette di mano svuotate di senso, tutto per chiudere un altro capitolo scritto in un posto che si è venduto come “ambiente di lavoro” ma che, nella sostanza, era solo una fabbrica ben truccata, dove la regola d’oro era: consumare il professionista, spremere la persona.

La vernice alle pareti non mascherava l’usura morale, e le frasi motivazionali incollate ovunque servivano più a contenere le crepe del sistema che a ispirare qualcuno. Eppure ti chiedevano sempre di dare tutto. Titoli, competenze, esperienza: non bastava mai. Il vero errore era avere troppo da offrire. Perché chi brilla senza chiedere luce diventa scomodo. E allora giù con le piccole umiliazioni, il ridimensionamento strategico, la paga tirata, il rispetto trattenuto come se fosse un lusso, non un diritto.

In quegli uffici, in quelle stanze, non si è salvato nessuno. Una fotocopia dell’altra, padroncini con il manuale del controllo emotivo, finti leader in cerca di sottomessi invece che collaboratori. Il dissenso era considerato arroganza, il silenzio un’arma contro di te. Ti volevano sempre disponibile, ma invisibile. Presente, ma mai troppo. E ogni volta che mostravi passione, qualcuno prendeva nota per decidere come incastrarti meglio nel turno successivo.

Essere qualificato oggi è quasi un problema. Presenti curriculum, titoli, esperienze… e ti trattano come se stessi chiedendo l’elemosina. Loro, invece, sono i profeti dell’approssimazione, i sacerdoti del “si è sempre fatto così”, allergici all’idea che qualcuno possa avere una visione più ampia, più pulita. Alla fine, ti convincono che essere ambizioso è pericoloso, che voler migliorare sia sintomo di instabilità. Ti disegnano come il problema, mentre sei solo uno che pretende decenza.

Varcare la soglia per l’ultima volta non è triste. È nitido. È la sensazione di esserti tolto un peso dalle spalle senza rimpianti. Guardi negli occhi chi resta e sai che nulla cambierà: stessi turni, stessi giochetti, stesso modo di mortificare chi ha qualcosa da dire. E se ti chiedono perché te ne vai, non è per un litigio o per un’offesa: è per un logorio quotidiano, lento e infido, che ti ha eroso l’entusiasmo senza che tu te ne accorgessi subito.

Il problema non sei tu. È un intero sistema che applaude la mediocrità e teme l’eccellenza. Un meccanismo dove chi ragiona è un guastafeste, chi chiede rispetto è un rompiscatole, chi mette limiti è visto come ribelle. Un sistema dove flessibilità è solo un modo elegante per dire: devi piegarti. E dove chi guida spesso è solo un bravo manipolatore con una scrivania più grande.

Me ne vado con le idee più chiare, e con una certezza scolpita dentro: non tornerò mai più a svendermi. Non cercherò più di convincere nessuno del mio valore. Chi non lo vede, non lo merita. Il mio spazio non l’ho ancora trovato, è vero. Ma mi sono ritrovato io. E non c’è busta paga che possa comprare questa consapevolezza.

Il potere vero non è farsi assumere. È sapere quando uscire. Il successo reale non è il titolo che ti danno, ma la dignità che riesci a mantenere. E la libertà più grande è quella che ti fa dire “basta” senza abbassare lo sguardo.