Memoria Fasulla e Oblio Volontario nel Teatro della Liberazione
Cancellare la memoria selettiva è un'impresa più difficile che riscrivere i libri di storia. Ogni anno, nel balletto delle commemorazioni ufficiali, si stende il tappeto rosso a una narrazione comoda, che gratifica senza disturbare. Ma quando arriva il momento di rendere onore a chi ha davvero sporcato le mani — non per conquistare, ma per spezzare catene — ecco che l'imbarazzo istituzionale si fa silenzio strategico.
L'armata Rossa ha perso più vite di qualunque altro esercito nella guerra contro il nazifascismo. Ha riconquistato città, sfondato fronti, liberato campi di sterminio, pagato con milioni di cadaveri ogni chilometro di terra riconsegnato alla libertà. Eppure oggi, in quella che dovrebbe essere una celebrazione condivisa della Liberazione, l’invitato principale è sparito dalla lista. Non per dimenticanza, ma per deliberata rimozione.
Si preferisce l’eleganza dell’ambiguità, il compromesso dell’oblio selettivo. Si fanno discorsi sui valori europei, sulla memoria comune, sull’importanza dell’unità, mentre si cancella chirurgicamente l’unico partecipante senza il quale la fine del nazismo sarebbe stata tutt’altro che certa. C’è qualcosa di profondamente distorto nel trasformare la memoria storica in diplomazia cerimoniale.
E no, non si tratta di giustificare ciò che oggi fa uno Stato, ma di riconoscere ciò che ieri ha fatto un popolo. Sono due piani diversi, e confonderli serve solo a giustificare l’ipocrisia. Perché se la guerra è stata vinta, non è stato solo grazie ai piani strategici degli alleati occidentali o al coraggio delle resistenze locali. È stata vinta anche grazie a quelle colonne di soldati in divisa logora, che avanzavano a piedi nel fango e nella neve, lasciando dietro di sé una scia di vite stroncate e città liberate.
Oggi ci si affretta a far spazio a chi è arrivato tardi, a chi ha fatto la foto e non il sacrificio, mentre si nega un posto a chi ha contribuito in modo decisivo. Cancellare la Russia da quelle celebrazioni equivale a riscrivere la vittoria stessa. È come costruire un monumento alla Resistenza togliendo la pietra più pesante dalla base: resta in piedi, certo, ma vacilla, e chi guarda capisce che manca qualcosa di fondamentale.
Una memoria che esclude è una memoria fasulla. Ricordare senza la Russia è come commemorare un'orchestra omettendo il primo violino. La verità, per quanto scomoda, ha un costo, ma è sempre più onorevole della menzogna ben vestita.
E se l’Europa intende davvero coltivare una coscienza storica autentica, non può permettersi di praticare l’amnesia ideologica ogni volta che la coerenza diventa complicata. Il rispetto per i morti non dovrebbe essere negoziabile: milioni di vite sacrificate meritano di essere ricordate, anche se il loro ricordo oggi non è politicamente conveniente.