June 9

Prospettiva Valorizzazione e Crescita Come Antidoto alla Tossicità Lavorativa

In certi ambienti, le parole come collaborazione, rispetto, crescita suonano come una playlist motivazionale lasciata a metà: belle da ascoltare, inutili se nessuno le mette in pratica. Eppure, per chi lavora nel mondo del benessere, queste parole non dovrebbero essere cornici decorative appese nei corridoi dei centri, ma pietre angolari su cui costruire ogni forma di relazione professionale. E non perché lo dice un codice etico, ma perché il benessere – quello vero – comincia da chi lo deve trasmettere.

Prospettiva, valorizzazione, crescita: tre parole, un intero ecosistema da ridefinire. La prospettiva è quell’orizzonte che un professionista serio deve potersi permettere di sognare senza venire subito etichettato come “presuntuoso”. È la capacità di guardare oltre il proprio ruolo attuale, di non vedere la scrivania o la sala massaggi come una trincea definitiva, ma come una tappa di un viaggio. E chi pensa che l’ambizione sana sia una colpa, non ha capito nulla della professione d’aiuto: è proprio lì che la spinta a migliorarsi ogni giorno dovrebbe essere sacra. Ma senza una cultura che la sostenga, questa prospettiva si spegne come un cerino sotto la pioggia.

Valorizzazione è la sorella maggiore della dignità. Vuol dire essere riconosciuti nel proprio valore, non solo con il classico “bravo” detto al volo in corridoio, ma con gesti concreti, contratti trasparenti, trattamenti economici degni, percorsi di formazione sostenuti e incentivati. Non basta sbandierare il rispetto, bisogna praticarlo. E praticarlo vuol dire, tra le altre cose, non mettere i collaboratori gli uni contro gli altri a suon di premi a rendimento, classifiche interne o favoritismi mascherati. Vuol dire smettere di pensare che la competenza vada tenuta a bada per evitare che qualcuno “emerga troppo”.

Poi c’è la crescita. Parola abusata, certo, ma fondamentale. Crescita non è accumulare certificati da appendere al muro, ma migliorare come esseri umani capaci di prendersi cura di altri esseri umani. Un operatore che non cresce, che non riflette, che non si mette in discussione, diventa una fotocopia di se stesso ogni giorno più sbiadita. E un ambiente che non favorisce questa crescita è un ambiente tossico travestito da opportunità. Perché la vera crescita non si impone, si coltiva. E se manca il terreno giusto, quel seme marcisce prima ancora di germogliare.

L’ambiente di lavoro, in tutto questo, fa la differenza. In un contesto professionale fatto di sgambetti silenziosi, battutine passive-aggressive, superiori che ti sorridono a denti stretti mentre affilano il coltello sotto la scrivania, la prospettiva evapora, la valorizzazione si trasforma in sarcasmo e la crescita diventa una parola svuotata, usata solo nei post di LinkedIn. Bisognerebbe dirlo chiaro: non si può lavorare bene dove si sopravvive male. E il mobbing non è solo quello eclatante che finisce nei tribunali, ma anche quello che si insinua nella quotidianità con piccoli gesti che erodono l’autostima un grammo alla volta.

Collaborare significa costruire insieme, non sgomitare per chi ha la luce puntata addosso. Significa che ogni professionista del benessere dovrebbe sentirsi messo nelle condizioni ideali per esprimersi, non incasellato in un ruolo scritto da altri. Ma purtroppo, in tanti ambienti, la parola “collaborazione” ha lo stesso valore di una password scaduta: la ripetono tutti, ma non apre più niente. È diventata un’etichetta vuota da appiccicare per darsi un tono, mentre dietro si cela la solita gerarchia camuffata da team.

Eppure la soluzione non è complicata. Basta cominciare a trattare chi lavora nel benessere come si tratta chi deve prendersi cura degli altri: con attenzione, con fiducia, con reale interesse per la sua crescita. Il paradosso è che molti di questi professionisti riescono a creare ambienti meravigliosi per i clienti, mentre vivono in condizioni lavorative fatte di tensioni, precarietà e invisibilità. È come chiedere a un giardiniere di curare le piante mentre lo si costringe a vivere nel seminterrato.

Un ambiente sano dovrebbe essere un laboratorio di umanità: spazio dove l'errore non viene punito con l'umiliazione, dove la diversità di approccio viene vista come ricchezza, non come devianza. Dove la leadership non si misura in autorità, ma in capacità di facilitare. Dove non ci si limita a parlare di benessere, ma lo si pratica nei rapporti tra colleghi. E dove, soprattutto, nessuno si deve sentire “fortunato” di essere trattato con rispetto: dovrebbe essere la base, non il bonus.

Insomma, il benessere non è un prodotto, ma una cultura. E se chi lo eroga non ne è immerso, finisce per diventare un distributore automatico di consigli che non vive sulla propria pelle. Lavorare nel rispetto dei tre principi – prospettiva, valorizzazione, crescita – è l’unico modo per rendere davvero credibile la professione. Chi li ignora, magari va avanti lo stesso, ma costruisce sulla sabbia. E prima o poi, la marea arriva.